Il tuffo nella mia Terra stavolta è stato fecondo. Di sole, di parole, di stelle brillanti, di luoghi magici, di cieli azzurri, di parole, di variopinti tramonti, di parole, e di altrettanto variopinti incontri e variegati sorrisi. Le cose, le persone, i posti "di una volta" possono essere di decenni fa, km-m-cm di tempo fa, o anche soltanto di una "volta scorsa" trascorsa da un qualsivoglia periodo.
Curante ma inconsapevole se anche per i vecchi del mondo, tutto il mondo sia paese, nell'aria tiepida e insieme cristallina di un mezzogiorno quasi-novembrino, ho ritrovato l'assenza di ogni pudore di chi ha conosciuto i nostri nonni, i nostri genitori, noi, e si ricorda chi siamo, e ci ricorda una vita com'era. In un particolare. L'itterizia si curava con...i pidocchi. Sì.
Andavano a recuperarli da chi li ospitava su di sè, li rincorrevano sulla mano per non farli fuggire (bene prezioso), per poi avvolgerli in un'ostia bagnata, e farla ingoiare al malato gallo...il quale, guariva. Prevedibili i nostri occhi spalancati e le bocche in risate incredule e divertite e gli stomaci lievemente contorti dall'inimmaginabile disgusto. A pensare che non conosciamo l'itterizia, che sicuramente qualche rimedio chimico senza zampe esiste e che...ma ci sarebbe poi da fidarsi dei pidocchi di oggi? E così penso: se a noi manca un briciolo di terra sotto i piedi, guardandoci indietro, quanta forza devono aver avuto le nostre ave generazioni per vivere tanti mutamenti e mutazioni rimanendo in piedi? Forse è per questo che, invecchiando, si diventa più bassi: per avvicinare il baricentro al centro gravitazionale della Terra. E non volare via.