lunedì 9 agosto 2010

il filo spanato

Dall'11 settembre di un anno fa il filo, io, l'ho perso davvero. Forse l'ho perduto per strada, lungo il guardrail di 420 km di autostrada, d'altronde lo strattone tiratogli è stato forte. Io ho sempre creduto e credo ancora che si sia solo un po' sfilacciato, sai, poi con il gelido inverno s'è pure congelato e ne ho perse altrettante tracce. Sarà che poi più ti fissi a voler cercare una cosa e meno la trovi, però io avevo bisogno di quel filo,  e l'ho cercato come potevo, o forse solo, come riuscivo. Può essere che sia trasparente, e cambiando lo sfondo, lo scenario, non son riuscita più a vederlo. Ho cercato di ritrovarne traccia come un cane da tartufi senza olfatto, ho cercato di ricostruirne le fibre in laboratorio, basandomi sui ricordi di esso. Ho tentato di sgombrare la mente da turbini d'incertezze e ansie, con vaghi e vagheggianti risultati. Sempre cercando di fare meno rumore possibile, di dare meno fastidio possibile, con il terrore di essere di peso nel mentre che cercavo il mio peso ed il mio posto in una nuova vita. Oggi, pare che questa mia ricerca, sia stata del tutto infruttuosa, finanche dannosa. Ho lasciato qualcuno nell'attesa, non qualcuno a caso, l'unico qualcuno per cui sono qui, di rivedere quel filo luccicare, e allo stesso tempo, volendoci credere o meno, ma io sapendone per certo la veridicità, soffrendo io nella stessa attesa di riportare alla luce quel filo. Quanto può far male un'attesa? Tanto, può fare tanto male. E più fa male, a te e a chi ti sta intorno, più ti metti a cercare con ansia e angoscia. Risultato: un fendente all'anima, una bolla d'acqua salata che brucia gli occhi e la gola, la stanchezza. Le armi ormai rotte, le lance spuntate, le ferite chissà.  Se è brutto disconoscersi, posso assicurare in questo preciso istante che non riconoscersi è un colpo devastante. Sotto la cintura, o sopra, fate voi. Chiedere a se stessi: "ma dove caspiterina sono finito, IO?" Ecco, dove è il mio filo? quello a cui sono legate tutte le mie parole, quelle disperse da così lungo tempo...quello che tiene aperte le porte e non le fa sbattere chiudendomi dentro...quello che al limite ci puoi fare il tiro alla fune, che almeno ci si diverte.
Poi fa irruzione IL GATTO. Si arrotola nella zanzariera, salta ovunque, gioca con le tue calze, fa gli assalti alle tue scarpe eleganti, e si diverte un mondo con le stringhe. Sta un po'. Scompare. Filo sperduto, fili d'erba, stringhe, filo di ferro che tiene su i pomodori, la gomma per l'irrigazione, capelli, peli di gatto. Fili. Bisogna poi prenderli così sul serio? Bisogna poi averli perduti per forza? 

2 commenti:

  1. forse il modo più serio di prendere sul serio la vita è proprio di non prenderla sul serio nel senso che la serietà uccide la naturalità portando alla razionalità della ricerca di un filo che invece naturalmente fa parte di noi e che bisogna seguire e quindi forse non si è spezzato lungo la strada ma era la strada che si è percorsa solo fisicamente e non realmente con tutta l'anima frazionando se stessi e compromettendo l'esperienza e la conoscenza su di sè confondendo perchè non solo venivano a modificarsi gli spazi esterni ma anche le allocazioni interne illudendo di essere altri quando invece si era sempre se stessi appessi allo stesso filo solo poco più in là

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  2. Pardon? ;-) a parte qualche passaggio non chiaro...la mancanza totale di punteggiatura mi sfianca....beh sì insomma...su ciò che è stato o non è stato questo anno, credo di non avere più niente da dire, e nemmeno ci voglio pensare ancora. L'importante è che sia passato, intanto ho fatto qualche nodo al mio filo anche qui....purtroppo anche facendo del nostro meglio a volte si sbaglia lo stesso, ma è ora di andare avanti, con un po' più di...serena concentrazione.

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